Iris
La sponetta con olio evo e Iris favorisce i processi di autoregolazione cutanea.
Rafforza le difese cutanee e favorisce il mantenimento dell’equilibrio idrolipidico, regolando la produzione di sebo, il cui squilibrio può determinare la comparsa di varie impurità, comedoni o punti neri. La pelle preserva il suo naturale aspetto fresco quando i processi idrolipidici sono equilibrati.
Il Fiorino
L’iris è il fiore simbolo di Firenze. Spesso chiamato giaggiolo, o più comunemente giglio
il giglio che figura nello stemma di Firenze avrebbe origine dall’Iris florentina. Ai te
Ai tempi della Repubblica fiorentina questo fiore cresceva nella valle dell’Arno. Qui, per il colore bianco appena azzurrato simile a quello del ghiaccio, era chiamato “ghiaggiuolo” da cui forse deriva giaggiolo, termine comunemente usato in Toscana.
. Prima della cacciata dei ghibellini, sul gonfalone di Firenze un’iris bianca si stagliava in campo rosso. Dopo il 1267 i guelfi invertirono i colori e l’emblema della città divenne un’iris rossa in campo bianco.
Dante rimarca il mutamento nel Canto XVI del Paradiso (152-154) con le parole dell’avo Cacciaguida: “… tanto che l’giglio non era […] per division fatto vermiglio” (per divisioni interne non era ancora diventato rosso).
Ancora oggi il gonfalone di Firenze conserva l’antica immagine, la stessa che nel 1252 fu impressa nella moneta d’oro della città, il fiorino.
Il fiorino è una moneta d’oro di circa 3,537 grammi[1] a 24 carati coniata per la prima volta nel 1252 a Firenze, grazie al podestà d’origine Bresciana Filippo Ugoni.[2] Il nome deriva dal fior di giglio rappresentato al dritto della moneta.[3]
Nel XIII secolo e fino al rinascimento il fiorino, grazie alla crescente potenza bancaria di Firenze, divenne la moneta di scambio preferita in Europa alla pari del Ducato Veneziano.
«Vid’io Fiorenza in sì fatto riposo,
che non avea cagione onde piangesse;
con queste genti vid’io glorioso
e giusto il popol suo tanto, che il giglio
non era ad asta mai posto a ritroso
né per division fatto vermiglio»
(Dante Alighieri, Divina Commedia, Paradiso, Canto XVI, 152.[1])